Attentato di via Rasella

Attentato di via Rasella
attentato
I resti dei militari del Polizeiregiment "Bozen" caduti nell'attentato adagiati sul ciglio della strada
TipoAttentato dinamitardo
Data23 marzo 1944
15:50 circa[1]
Luogorione Trevi, Roma
Infrastrutturavia Rasella[N 1]
StatoRepubblica Sociale Italiana (bandiera) Repubblica Sociale Italiana
Coordinate41°54′09.84″N 12°29′20.41″E
ArmiOrdigno esplosivo improvvisato[2];
4 bombe a mano
Obiettivo11ª Compagnia del Polizeiregiment "Bozen"
Responsabili12 partigiani dei GAP al comando di Carlo Salinari "Spartaco"
Conseguenze
Morti35
(33 soldati tedeschi, 2 civili italiani)
Feriti64
(53 soldati tedeschi, 11 civili italiani)
Mappa di localizzazione
Mappa di localizzazione: Roma
Luogo dell'evento
Luogo dell'evento

L'attentato di via Rasella fu un'azione della Resistenza romana condotta il 23 marzo 1944 dai Gruppi di Azione Patriottica (GAP), unità partigiane del Partito Comunista Italiano, contro un reparto delle forze d'occupazione tedesche, l'11ª Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment "Bozen", appartenente alla Ordnungspolizei (polizia d'ordine) e composto da reclute altoatesine. Fu il più sanguinoso e clamoroso attentato urbano antitedesco in tutta l'Europa occidentale[3].

L'azione, del cui ordine dopo la guerra si assunse la responsabilità Giorgio Amendola, fu compiuta da una dozzina di gappisti (tra cui Carlo Salinari, Franco Calamandrei, Rosario Bentivegna e Carla Capponi) e consistette nella detonazione di un ordigno esplosivo improvvisato al passaggio di una colonna di soldati in marcia e nel successivo lancio di quattro bombe a mano artigianali sui superstiti. Causò la morte di trentatré soldati tedeschi (non si hanno informazioni certe circa eventuali decessi tra i feriti nei giorni seguenti) e di due civili italiani (tra cui il dodicenne Piero Zuccheretti), mentre altre quattro persone caddero sotto il fuoco di reazione tedesco. Il 24 marzo, senza nessun preavviso, seguì la rappresaglia tedesca consumata con l'eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui furono uccisi 335 prigionieri completamente estranei all'azione gappista, tra cui dieci civili rastrellati nelle vicinanze di via Rasella immediatamente dopo i fatti.

Fin dalle prime reazioni, invero, l'attentato è stato al centro di una lunga serie di controversie (anche in sede storiografica) sulla sua opportunità militare e legittimità morale, che lo hanno reso un caso paradigmatico della «memoria divisa» degli italiani[4]. Nella lunga storia processuale dei fatti del marzo 1944, anche la legittimità giuridica dell'attentato è stata oggetto di valutazioni diverse: sul piano del diritto internazionale bellico è stato giudicato, da tutte le corti militari britanniche e italiane che hanno processato e condannato gli ufficiali tedeschi responsabili delle Fosse Ardeatine, un atto illegittimo in quanto compiuto da combattenti privi dei requisiti di legittimità previsti dalla IV Convenzione dell'Aia del 1907; sul piano del diritto interno italiano è stato invece considerato, in tutte le sentenze emesse sul caso da giudici civili e penali, un atto di guerra legittimo in quanto riferibile allo Stato italiano allora in guerra con la Germania[5][6][7][8].

Le motivazioni dell'attentato sono state rappresentate in modi diversi: secondo un'intervista resa nel 1946 dal gappista Rosario Bentivegna, «scuotere la popolazione, eccitarla in modo che si sollevasse contro i tedeschi»[9]; secondo la deposizione di Giorgio Amendola al processo Kappler (1948), indurre i tedeschi al rispetto dello status di Roma città aperta smilitarizzando il centro urbano[10]; secondo la Commissione storica italo-tedesca (2012), contrastare l'occupante e «scuotere la maggioranza della popolazione civile dallo stato di attesa passiva in cui versava»[11]. Tutte assai discusse, le motivazioni hanno costituito tra l'altro l'oggetto di una teoria del complotto che non ha trovato alcun riscontro né in sede storiografica né in sede giudiziale.

  1. ^ Bentivegna 2004, p. 199.
  2. ^ La bomba impiegata a via Rasella è citata come esempio ante litteram di ordigno esplosivo improvvisato, in inglese Improvised Explosive Device (IED), in Lorenzo Striuli, IED: la "nuova" minaccia?, in Rivista italiana difesa, n. 10, ottobre 2006, pp. 54-66: 54.
  3. ^ Benzoni 1999, pp. 9 e 113.
  4. ^ La storica Anna Rossi-Doria lo definisce «il caso italiano di memoria divisa più rilevante sia per la durata nel tempo che per la molteplicità dei significati». Cfr. Anna Rossi-Doria, Una storia di memorie divise e di impossibili lutti, in Passato e presente, 2000, 49, pp. 133-140: 136.
  5. ^ Cipriani 2009, p. 485.
  6. ^ Resta, Zeno-Zencovich 2013, pp. 861 e ss.
  7. ^ Il «riconoscimento dei Partigiani come legittimi belligeranti non poteva e non può essere posto in alcun dubbio nell’ambito dell’ordinamento italiano [...]; e ciò anche in quanto, come ricorda la [...] sentenza delle Sezioni Unite 3053/1957, sin dal momento della dichiarazione di guerra contro la Germania (13 ottobre 1943), il legittimo governo italiano aveva incitato tutti gli italiani a ribellarsi ed a contrastare con ogni mezzo l’occupazione tedesca»: Tucci 2012, p. 328.
  8. ^ «Il Tribunale civile di Roma, con sentenza del 9 giugno 1950 [...] ricono[bbe] la piena legittimità dell’attentato di via Rasella, riscontrando il carattere statuale dell’attività partigiana nel diritto interno vigente all’epoca dei fatti, nonché in quello successivo»: Tropea 2016, p. 187.
  9. ^ Rosario Bentivegna, intervista a cura di Mila Contini, Intervista all'attentatore di via Rasella, in Oggi, II, n. 52, 24 dicembre 1946, p. 15.
  10. ^ La deposizione dell'on. Amendola, in La Nuova Stampa, 19 giugno 1948, p. 1.
  11. ^ Commissione storica italo-tedesca 2012, pp. 29-30 e 110-2.


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