Brefotrofio

(LA)

«Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem;
matri longa decem tulerunt fastidia menses.
Incipe, parve puer: quoi non risere parenti,
nec deus hunc mensa, dea nec dignata cubilist»

(IT)

«Inizia, piccolo bambino, a riconoscere con il sorriso la madre;
alla madre dieci mesi recarono lunga pena.
Incomincia, piccolo bambino: a chi non sorrisero i genitori,
un dio non concede la sua mensa, né una dea lo accoglie nel letto d'amore»

Il brefotrofio è l'istituto che accoglie e alleva i neonati illegittimi, abbandonati e non riconosciuti alla nascita o in pericolo di abbandono. Si distingue dall'orfanotrofio, attuali case famiglia, che è invece la struttura di accoglienza dove sono accolti ed educati i bambini orfani o i bambini ai cui genitori è stata tolta la responsabilità genitoriale.

Balie di un brefotrofio di Roma, ritratte mentre allattano i neonati

Il termine deriva dal latino tardo brephotrophīum (attestato nel Codex di Giustiniano: 534 d.C.), prestito dal greco brephotrophêion (βρεϕοτροϕεῖον), composto di bréphos (βρέϕος) «neonato, infante» e il tema di tréphein «allevare, nutrire». In italiano, il termine, documentato dal 1796, fu assunto nel primo Ottocento, assieme ad altri nomi mutuati dalle lingue classiche, per designare nuove istituzioni: non solo a causa delle preferenze del linguaggio burocratico per le parole difficili, ma anche per la sua funzione eufemistica.[1]

  1. ^ Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, p. 657; Manlio Cortelazzo, Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 2004, s.v. La parola è di difficile pronuncia, a causa della sequenza delle due vibranti che comporta difficoltà articolatoria e conseguente dissimilazione (come in proprio > propio, proprietà privata > proprietà ecc.). Si noti l'errore in questo fotogramma Archiviato il 26 ottobre 2014 in Internet Archive. dell'Istituto Luce (1929).

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