Con cacciatori-raccoglitori (o anche foraggiatori), nelle scienze etnoantropologiche, si indicano quelle popolazioni il cui sistema di alimentazione ed economico si basa sulla caccia, pesca e sulla raccolta. Queste società non praticano alcuna forma di agricoltura o allevamento, ma fanno leva unicamente sull'acquisizione e il prelievo di cibo dalla natura selvatica (sono perciò dette società acquisitive).
Il sistema di "caccia e raccolta" fu l'unica forma di sostentamento degli uomini per 70 000 anni nel Paleolitico[1]. In virtù del processo di domesticazione delle piante e degli animali, con la rivoluzione neolitica, l'uomo iniziò a praticare anche l'agricoltura e l'allevamento, che, con il passare dei millenni, sostituirono questa economia primitiva[2]. Tuttavia, non tutte le società compirono tale passo e, comunque, non tutte allo stesso momento: portava infatti benefici, ma anche svantaggi e non era adatto o conveniente a tutti i territori. La separazione di questo sistema economico è in buona parte teorica, in quanto, in realtà, diverse popolazioni hanno e/o possono usare contemporaneamente sia sistemi di caccia o di agricoltura a seconda delle stagioni e delle convenienze[3].
Ancora oggi resistono società di cacciatori-raccoglitori che scelgono di non abbandonare l'organizzazione originaria. Tra queste società figurano i Pigmei e i Boscimani africani, i Semang della Malesia e gli indios dell'Amazzonia. In un report del 2009 vengono stimati ancora presenti nel mondo 410 milioni di raccoglitori di foresta o di savana, più almeno 100 milioni di piccoli pescatori[4]. Nell'ideologia del materialismo storico, il sistema di caccia e raccolta costituisce la prima sottofase (fase selvaggia) del comunismo primitivo. Lo stretto contatto con la natura di queste popolazioni ha condizionato il loro credo religioso in forme animiste.