La creolizzazione della lingua è un concetto della semiotica, che indica una trasformazione determinata dalla maggior forza della cultura emittente (attività dell'ambiente esterno) rispetto alla cultura ricevente (attività dell'ambiente interno). Deriva dal concetto di lingua creola nella linguistica, considerata il risultato di un processo di mescolamento in due sensi diversi. Da un lato il mischiarsi può essere visto come un'interferenza tra due o più sistemi linguistici: una lingua di superstrato o lingua ricevente (quella dei colonizzatori europei) e lingua di sostrato o lingua emittente (quella dei colonizzati, spesso si tratta di una lingua o un dialetto africano); dall'altro può essere visto come la rilessificazione che comporta l'uso della grammatica della lingua di sostrato con il lessico di superstrato.[1]
Nell'estetica traduttiva dell'Ottocento vi sono esempi di traduttori che, ispirandosi all'ideologia d'integrazione linguistica e culturale delle lingue slave, per documentare la stretta affinità fra lingue lasciano radici di parole o intere parole di suono simile. Conseguenza di questo metodo è la creolizzazione di due sistemi, che conduce alla cancellazione di tratti idiomorfi.[2]