La diàtriba, o diatrìba[1] (dal lat. diatrĭba, a sua volta dal gr. διατριβή), è una forma di argomentazione della filosofia greca. Il termine contiene in sé il concetto di contrasto, di attrito, che, però, conduce a un risultato positivo; il significato etimologico è quello di consumo del tempo e di tempo dedicato allo studio.
La diatriba è una discussione, conversazione, o conferenza, su luoghi comuni etici che si rivolge a un pubblico generale, più ampio di quello della scuola filosofica di appartenenza. La discussione può assumere connotazione particolarmente violenta e aggressiva e, non di rado, ricorre all'ironia e alla demistificazione. Fu molto usata, in particolar modo, dai cinici e dagli stoici (si parla, a volte, di diatriba cinico-stoica).
L'uso della diatriba risale a Socrate, mentre, nell'età ellenistica, rimanda a Diogene. Bione di Boristene, vissuto tra il 325 e il 255 a.C., la elevò a genere letterario nelle sue Diatribe, tramandate in frammenti. Cicerone vi si riferisce come a trattati di morale destinati al popolo.
La si ritrova nella letteratura latina: ad esempio, nelle Satire di Orazio, che ne riproducono le caratteristiche, e nei Dialoghi di Seneca.