Giovanni Moro (... – Acerenza, 1254, intorno a novembre) fu un servo di Federico II di Svevia, figlio di una schiava saracena, protagonista di un'«insolita»[1] parabola sociale che gli permise di assumere un notevole peso politico presso la corte sveva del Regno di Sicilia, fino alla carica di Gran camerario, a cui si aggiunse un ruolo di spicco a Lucera, sotto Federico II e Corrado IV[2].
Alla sua origine saracena deve anche il nome, che si riferisce all'origine etnica e al colore dell'incarnato. Dell'origine geografica farebbe fede anche un busto, con fattezze nordafricane, ritrovato nel castello di Lucera, che si ritiene riferibile, con molta plausibilità, proprio a Giovanni[3]. La sua fedeltà alla dinastia sveva si interruppe nel 1254, sotto Manfredi, quando Giovanni Moro passò alla avversa parte guelfa filo-papale, una scelta di campo dettata dall'opportunismo, che lo mandò incontro alla morte per mano dei Saraceni di Lucera. In quello stesso anno, in una lettera alla cristianità del 9 novembre, Papa Innocenzo IV ne affermava anche la conversione alla fede cattolica. Alla morte, il suo ufficio di Gran camerario fu appannaggio di Manfredi Maletta[4].
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