Governo Badoglio II | |
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Stato | ![]() |
Presidente del Consiglio | Pietro Badoglio (militare) |
Coalizione | DC, PCI, PSIUP, PLI, PdA, PDL, militari, indipendenti |
Giuramento | 24 aprile 1944 |
Dimissioni | 6 giugno 1944 |
Governo successivo | Bonomi II 18 giugno 1944 |
Il Governo Badoglio II fu il sessantunesimo governo del Regno d'Italia.
Formatosi in seguito alla svolta di Salerno dell'aprile 1944, con la quale il Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti accettò di collaborare con Pietro Badoglio (capo del governo dal 25 luglio 1943) e la monarchia sabauda, fu il primo esecutivo aperto ai sei partiti antifascisti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale.
Nominati da parte del re d'Italia i ministri il 22 aprile 1944[1], il governo rimase in carica da tale data al 18 giugno 1944[2], per un totale di 55 giorni, ovvero 1 mese e 25 giorni, e fu seguito dal periodo costituzionale transitorio, che portò alla Repubblica Italiana.
«Pietro Badoglio può finalmente formare il secondo esecutivo: un governo d’unità nazionale antifascista appoggiato dal CLN, con molti leader che assumono la carica di ministro. Palmiro Togliatti (PCI): vicepresidente. Ministri senza portafogli: Benedetto Croce (PLI), Carlo Sforza (indipendente, indicato dal Partito d'Azione), Giulio Rodinò di Miglione (DC), Pietro Mancini (PSIUP). Interno: Salvatore Aldisio (DC). Grazia e Giustizia: Vincenzo Arangio-Ruiz (PLI). Agricoltura e Foreste: Fausto Gullo (PCI). Commercio, Industria e Lavoro: Attilio Di Napoli (PSIUP). Lavori Pubblici: Alberto Tarchiani (PdA). Comunicazioni: Francesco Cerabona (PDL). Educazione Nazionale: Adolfo Omodeo (PdA). Finanze: Quinto Quintieri (PDL). Il secondo governo Badoglio, si caratterizza anche per la presenza, al di là dei singoli titolari dei Ministeri, dei cinque ministri senza portafoglio che, in realtà, sono i garanti del nuovo governo: Benedetto Croce, Pietro Mancini, Giulio Rodinò; Carlo Sforza, Palmiro Togliatti. Essi, in rappresentanza di cinque dei sei partiti costituenti il Comitato di Liberazione Nazionale (la Democrazia del Lavoro decise di non partecipare al governo),sono i veri arbitri della partita politica fra Governo, Corona e Alleati.Antonio Palo[3]»
Il giuramento dei ministri nelle mani del Re avvenne a Villa Episcopio a Ravello[4].
Diede le dimissioni il 6 giugno 1944[5], immediatamente dopo la liberazione di Roma dall'occupazione nazi-fascista.