Guerra civile in Guatemala

Guerra civile in Guatemala
parte della Crisi centroamericana e della Guerra fredda
Febbraio 2012, abitanti dello Ixil trasportano i resti dei loro cari dopo una riesumazione nel Triangolo Ixil
Data13 novembre 1960 – 29 dicembre 1996
LuogoGuatemala (bandiera) Guatemala
Casus belliDeposizione violenta di Jacopo Arbenz, successive proteste sociali duramente represse[1]
EsitoAccordi di pace del 1996
Modifiche territorialiFranja Transversal del Norte
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
URNG: 6.000 (1982)
1.500 – 3.000 (1992)
Militari:

51.600 (1985)
45.000 (1994)
Paramilitari:
300.000 (1982)
500.000 (1985)

32.000 (1986)
Perdite
Secondo delle stime il numero dei morti e dei dispersi si aggira tra i 140.000 e i 200.000. Alcuni autori parlano di 250.000 morti[5]
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La guerra civile in Guatemala fu una guerra civile che venne combattuta dal 1960 fino agli accordi di pace firmati il 29 dicembre 1996 dopo una lunga trattativa durata 4 anni. Il conflitto vide contrapporsi, da un lato il governo del Guatemala e dall'altro diversi gruppi di ribelli politicamente orientati a sinistra. Quest'ultimi erano sostenuti dalla popolazione Maya e ladina, le quali formavano insieme la classe povera di contadini. Le forze governative del Guatemala sono state condannate per aver commesso genocidio nei confronti della popolazione Maya e per violazione dei diritti umani verso i civili.

Le elezioni democratiche tenutesi nel 1944 e nel 1951, durante la Rivoluzione del Guatemala, portarono al governo le formazioni della sinistra popolare. Gli Stati Uniti, però, ne rovesciarono l'esito organizzando un Colpo di Stato nel 1954 che portò ad un regime militare retto da Carlos Castillo Armas, al quale seguirono altri dittatori militari. Nel 1970, il Partito Democratico Istituzionale ottenne il successo con le elezioni del colonnello Carlos Manuel Arana Osario e controllò la politica guatemalteca fino al 23 marzo 1982 quando il generale Efraín Ríos Montt, insieme ad un gruppo di giovani ufficiali, ottenne il potere attraverso un golpe militare. Negli anni '70 il diffuso malcontento diede vita a proteste tra la maggior parte della popolazione indigena e tra i contadini i quali, tradizionalmente, soffrivano di forti disparità per quanto riguardava la proprietà terriera. Durante gli anni '80, i militari guatemaltechi assunsero il potere governativo in modo pressoché totale per cinque anni; successivamente si infiltrarono ed eliminarono gli avversari in tutte le istituzioni sociopolitiche del paese, incluse le classi intellettuali, politiche e sociali[6]. Nella fase finale della guerra civile, i militari svilupparono un sistema di controllo parallelo della vita del paese, semi invisibile ma di grande efficacia[7].

Il conflitto incluse, oltre ai combattimenti tra forze governative e gruppi ribelli, una vasta campagna di violenze nei confronti della popolazione civile; tali azioni furono promosse unilateralmente dal Guatemala a partire da metà anni '60. La repressione governativa incluse, tra le sue vittime, attivisti indigeni, sospetti oppositori del governo, rifugiati di ritorno, studenti e accademici critici, politicanti vicini alla sinistra, sindacalisti, religiosi, giornalisti e bambini di strada[8]. Il Guatemala viene indicato come il primo Stato dell'America Latina ad aver utilizzato la forza per ottenere la sparizione forzata dei suoi oppositori, una tecnica utilizzata precedentemente dai nazisti. Si stima che dal 1966 fino al termine della guerra vi siano state dalla 40.000 alle 50.000 sparizioni. In totale si ritiene che 200.000 civili furono uccisi o “sparirono” durante il conflitto, la maggior parte di questi per mano dei militari, della polizia o dei servizi di sicurezza.

Nel 2009, le Corti del Guatemala hanno condannato Felipe Cusanero per i crimini legati alle sparizioni forzate; questi è divenuto così il primo imputato ad essere stato condannato per tali azioni. A questo procedimento giudiziario è seguito, nel 2013, il processo nei confronti dell'ex presidente Efraín Ríos Montt, accusato di genocidio per l'assassinio e la scomparsa di più di 1.400 indigeni maya dello Ixil durante il suo mandato negli anni 1982 – 83; le accuse di genocidio hanno origine dal rapporto Memoria del Silencio, scritto dalla Commissione per il Chiarimento Storico nominata dall'ONU. Tale organismo ha ritenuto che il genocidio sia stato consumato nella regione del Quiché tra gli anni 1981 – 1983, anche se non ha preso in considerazione i potenziali interessi economici nella regione di Ixcan (situata nella Franja Transversal del Norte) dovuti alla scoperta dei pozzi petroliferi, avvenuta nel 1975[9]. Mont è il primo ex Capo di Stato ad essere processato per genocidio dal sistema giudiziario del suo paese. Il giorno successivo al termine del suo processo è stato riconosciuto colpevole e condannato a 80 anni di carcere; tuttavia, pochi giorni dopo la sentenza è stata cassata dalla Corte costituzionale per anomalie intervenute durante il suo svolgimento e il procedimento è ripartito dall'inizio[10]. Il nuovo processo, fissato per il 23 luglio 2015, è stato sospeso e probabilmente verrà annullato perché la Commissione medica ha giudicato l'ex dittatore mentalmente incapace di sostenerlo[11].


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