Ludovico Maria Sforza detto "il Moro" | |
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Ludovico il Moro nella Pala Sforzesca, 1494-1495, Pinacoteca di Brera. | |
Duca di Milano | |
In carica | 21 ottobre 1494 – 10 aprile 1500 |
Predecessore | Gian Galeazzo |
Successore | Luigi XII di Francia |
Reggente del Ducato di Milano | |
In carica | 7 ottobre 1480 – 21 ottobre 1494 (per il nipote Gian Galeazzo) |
Predecessore | Bona di Savoia |
Signore di Genova | |
In carica | 21 ottobre 1494 – 26 ottobre 1499 |
Duca di Bari | |
In carica | 28 luglio 1479 – 10 aprile 1500 |
Predecessore | Sforza Maria Sforza |
Successore | Isabella d'Aragona |
Nascita | Milano, 27 luglio 1452 |
Morte | Loches, 27 maggio 1508 (55 anni) |
Casa reale | Sforza Visconti |
Padre | Francesco Sforza |
Madre | Bianca Maria Visconti |
Consorte | Beatrice d'Este |
Figli | legittimi: Ercole Massimiliano Francesco illegittimi: vedi sezione |
Religione | Cattolicesimo |
Motto | merito et tempore |
Firma |
Ludovico Maria Sforza detto il Moro (Milano, 27 luglio 1452 – Loches, 27 maggio 1508) fu duca di Bari dal 1479, reggente del Ducato di Milano dal 1480, infine duca egli stesso dal 1494 al 1499, essendo al contempo signore di Genova. Ai suoi tempi considerato l'Arbitro di Italia, secondo l'espressione usata dal Guicciardini, per via della sua preminenza politica.[1].
Dotato di raro intelletto e ambiziosissimo, riuscì, benché quartogenito, ad acquistarsi il dominio su Milano, dapprima sottraendo la reggenza alla sprovveduta cognata Bona, dappoi subentrando al defunto nipote Gian Galeazzo, che si disse da lui avvelenato. Principe illuminato, generoso e pacifico, si fece patrono di artisti e letterati: durante il suo governo Milano conobbe il pieno Rinascimento e la sua corte divenne una delle più splendide d'Europa.[2] Fu però di natura paurosa e incostante: per far fronte alle minacce del re Alfonso di Napoli, chiamò in Italia i francesi; minacciato anche dai francesi, non seppe fronteggiare il pericolo, e vi scampò solo grazie all'intervento della moglie Beatrice.[3] Morta Beatrice, entrò in depressione,[4] la sua corte si trasformò "di lieto paradiso in tenebroso inferno",[5] ed egli soccombette infine al re di Francia Luigi XII, che lo condusse prigioniero in Francia, ove terminò miseramente i suoi giorni.[6][7]
Pressoché favorevole fu il giudizio dei contemporanei: Leandro Alberti di lui scrisse: «Era di tanto ingegno, che pareva non che Italia, ma tutta Europa fosse da lui governata, onde pareva l'arbitro de tutte le cose della Christianità»,[8] mentre Paolo Giovio ne disse: «Arrecò tanto splendore et ricchezza alla Lombardia, che da tutti era chiamato edificatore della pace aurea, della pubblica sicurezza et della leggiadria».[9]
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