La microscopia crioelettronica è un tipo di microscopia elettronica a trasmissione in cui il campione viene studiato a temperature criogeniche (generalmente alle temperature dell'azoto liquido).
L'utilità della microscopia crioelettronica deriva dal fatto che consente l'osservazione di campioni non colorati o fissati in alcun modo, mostrandoli nel loro ambiente nativo, questo in contrasto con la cristallografia a raggi X, che richiede la cristallizzazione del campione, che può essere difficile nel caso di macromolecole, e la collocazione dello stesso in ambienti non fisiologici, che possono occasionalmente portare a cambiamenti conformazionali delle molecole. Si tratta pertanto di una tecnica particolarmente utile in biologia strutturale dove è fondamentale poter osservare le macromolecole biologiche nella loro conformazione nativa.
La risoluzione delle immagini ottenute tramite microscopia crioelettronica è in costante aumento e nel 2014 sono state ottenute alcune strutture a risoluzione quasi atomica,[1] incluse quelle di virus, ribosomi, mitocondri, canali ionici e complessi enzimatici di minimo 170 kDa a una risoluzione di 4,5 Å.[2] Nel 2015 Bridget Carragher e collaboratori sono riusciti a ottenere una struttura con una risoluzione inferiore ai 3 Å, elevando così la microscopia crioelettronica a strumento comparabile e potenzialmente superiore alle tradizionali tecniche di cristallografia a raggi X.[3][4][5] Nel giugno dello stesso anno una struttura di una beta-galattosidasi batterica è stata resa nota con una risoluzione di 2.2 Å.[6] Un tipo di microscopia crioelettronica è la tomografia crioelettronica, che permette di realizzare una ricostruzione tridimensionale di un campione da immagini bidimensionali ottenute a varie angolazioni.