La resistenza non-violenta (o azione non-violenta) è una pratica per raggiungere degli obiettivi per mezzo di proteste simboliche, disobbedienza civile, non-cooperazione economica o politica, e altri metodi, senza l'uso della violenza.
È diffusamente assimilata alla resistenza civile (Nonuccidere), sebbene i due concetti abbiano meriti distinti e connotazioni leggermente differenti. La forma moderna di resistenza nonviolenta è stata resa popolare, nonché collaudata per la sua efficacia, dal leader indiano Gandhi nei suoi sforzi per ottenere l'indipendenza dagli inglesi.
Tra i sostenitori della resistenza nonviolenta, occorre menzionare Lev Tolstoj, Henry David Thoreau, Mohandas Gandhi, Andrej Sacharov, Martin Luther King, Václav Havel, Gene Sharp e Lech Wałęsa. Nel 2006 la biologa evoluzionista Judith Hand ha presentato un metodo per abolire la guerra fondato sulla resistenza nonviolenta[1].
Secondo l'organizzazione Freedom House, dal 1966 al 1999 la resistenza civile nonviolenta ha giocato un ruolo chiave nel guidare 50 casi (su 67) di transizione politica da stati autoritari.[2] Recentemente, la resistenza nonviolenta ha caratterizzato la Rivoluzione delle rose in Georgia (2003), la Rivoluzione arancione in Ucraina (2004-2005), la Rivoluzione dei Jeans in Bielorussia (2006), la Rivoluzione dei gelsomini in Tunisia (2010-2011) e la lotta dei dissidenti cubani.
Molti movimenti che promuovono la filosofia nonviolenta o quella pacifista hanno adottato dei metodi d'azione nonviolenta per perseguire efficacemente obiettivi sociali o politici. Tali movimenti impiegano tattiche di resistenza nonviolenta come: guerra dell'informazione, picchettaggi, veglie, volantinaggi, samizdat, magnitizdat, satyagraha, arte di protesta, canzoni e poesia di protesta, educazione comunitaria e autocoscienza femminista, gruppi di pressione, resistenza fiscale, disobbedienza civile, boicottaggi e Sanzione economica, sabotaggi, Underground Railroad, rifiuto di premi/riconoscimenti, scioperi e digiuni. [senza fonte]
L'azione nonviolenta si discosta dal pacifismo poiché essa è potenzialmente proattiva e interventista, e nasce da un rifiuto radicale della violenza.[3]