Lo scandalo Belloni fu uno scandalo politico-finanziario che colpì il regime fascista italiano tra il 1928 e il 1930, coinvolgendo in particolare gli ambienti del fascismo milanese.[1] Prende il nome dal podestà di Milano Ernesto Belloni, dal quale partì l'indagine e che fu poi riconosciuto colpevole di corruzione.[2][3]
La vicenda si originò dai contrasti tra il capo del governo Benito Mussolini e il gerarca Roberto Farinacci, capo de facto del fascismo intransigente.[4] Farinacci dette inizio a una campagna scandalistica contro uomini di fiducia di Mussolini che terminò con l'espulsione dal Partito Nazionale Fascista (PNF) di Belloni (1930), del segretario del Fascio di combattimento di Milano Mario Giampaoli (1929) e, nel 1933, dell'ex segretario di partito Augusto Turati, insieme a migliaia di altri individui giudicati indesiderati da parte del nuovo segretario del PNF Giovanni Giuriati (nominato alla carica nell'ottobre 1930). Anche Carlo Maria Maggi, fedelissimo di Farinacci, fu espulso nel 1928, ma per un breve periodo. Nel caso furono coinvolti anche il vicesegretario del PNF Achille Starace e il fratello di Mussolini, Arnaldo, avversario di Giampaoli.[5]
Lo scandalo, insabbiato dal regime, fu scoperto nel dopoguerra grazie alle carte mai pubblicate dell'archivio di Enrico Mario Varenna, faccendiere e principale collaboratore di Farinacci.[6]