Le Tabulae censuariae nel catasto imperiale romano erano un documento utilizzato per definire e catalogare i terreni e la loro destinazione d'uso[1], registrazione che rimase nel Medioevo[2], per esempio con Alfonso d'Aragona[3]. Il nome del Tavoliere delle Puglie deriva da esse[4].
Talora dette, seppure non precisamente, Catastrales Tabulae, parrebbero essere state concepite per la commisurazione e l'esazione del vectigal da corrispondere per la cessione di appezzamenti di Ager publicus; erano comunque parte delle tabulae publicae custodite sul Campidoglio[5].
Malgrado l'assonanza del nome, le tabulae non coincidono precisamente o completamente con la tavola censuaria del catasto moderno. Le tabulae erano infatti scritturazioni sintetiche contenenti gli estimi (cioè i valori o le rendite) per i quali i cespiti intabellati sarebbero stati tassati)[5]; in Italia, la tavola moderna è l'elenco numerato (progressivo) di particelle appartenenti ad un dato foglio catastale e per ciascuna particella indica anche la consistenza superficiaria, la categoria e la classe (oltre alla tariffa[6]), ma si tratta di un documento - semplicisticamente detto - con finalità organizzative interne, inventariali, e non, come nelle tabulae, direttamente della fonte di imposizione tributaria fondiaria.
Anche nello Stato Pontificio e sin quasi all'unità d'Italia, per cespite o per zona censuaria, le tabulae, che raccoglievano le censuariae aestimationes, fungevano inoltre da parametro per le specifiche valutazioni d'ufficio od a fini pubblici dei beni, ad esempio per il caso di iscrizioni ipotecarie[7]. In più, ai sensi della lex Piana, ove estimo tabellare esistesse per un cespite, unicamente di esso si doveva tener conto nelle procedure[5].