Nell'Islam, il tafsīr (in arabo ﺗﻔﺴﻴﺮ?) indica l'interpretazione autentica data dai dotti (ʿulamāʾ) musulmani agli ardui passaggi del Corano; quale finalità dell'esegesi, l'insegnamento divino che ne discende giova al cammino salvifico che ogni credente (muslim) ha da percorrere nella vita terrena, con l'attesa fiduciosa della ricompensa celeste.
Gli esegeti, o mufassirūn (ﻣﻔﺴﺮﻭﻥ), sono annoverati fra i principali dotti in «scienze religiose» (ʿulūm dīniyya): infatti, oltre a una formazione teologica, devono avere un'ottima preparazione linguistica, tradizionistica e storica.
Tra i più importanti esegeti islamici possiamo citare i seguenti:
Per quanto riguarda la scienza giuridica degli aḥādīth e dei fiqh, Al-Bayhaqi (994-1066) fu il principale esponente della scuola sunnita di al-Shafi'i, erede spirituale dell'imam Hakim al-Nishaburi.
Si potrebbero citare numerosi altri autori. Semplificando i termini del discorso, il tafsīr più diffuso è il noto al-Jalālayn («dei due Jalāl»), scritto per l'appunto da Jalāl al-Dīn al-Maḥallī e Jalāl al-Dīn al-Suyūṭī.
Tra i tafsīr moderni, dai simpatizzanti del «fondamentalismo islamico» è molto seguito quello dell'egiziano Sayyid Qutb ( Fī zilāl al-Qurʾān «All'ombra del Corano») e quello del pakistano Sayyid Abū l-ʿAlaʾ Maududi (Tafḥīm al-Qurʾān «La comprensione del Corano»).
Tra quelli 'riformisti', invece, si ricorderà il Tafsīr al-Manār (lett. «Il tafsīr del faro»; più precisamente «Il tafsīr della rivista»), redatto da Muhammad Abduh – a suo tempo Muftī d'Egitto e animatore della nota rivista 'riformista' (iṣlāḥī) "al-Manār".