Zindiq

Zindīq (in arabo زنديق?, dal in persiano زنديک‎, zendiq) significa letteralmente "libero pensatore", ma ha presto acquistato in contesto islamico il senso traslato di "ateo" o "eretico" rispetto al pensiero considerato ortodosso dell'Islam.[1] "Colpevoli" di zandaqa sono quindi quanti sono considerati dai pensatori musulmani sostenitori di vecchie pratiche religiose, in contrasto con i dogmi islamici.[2] A partire dalle epoche più antiche della storia islamica, i musulmani cominciarono a riferire questo termine ai manichei, agli apostati, ai pagani e agli eretici strictu senso, che s'erano coscientemente allontanati da quella che, al momento, era considerata la "retta via" dell'ortodossia sunnita, e a tutti gli avversari aperti e attivi dell'Islam, per i quali la giurisprudenza decretò la pena di morte.[3] Verso la fine dell'VIII secolo, i Califfi abbasidi cominciarono a dare la caccia e a sterminare in larga misura ogni sostenitore del "libero pensiero", anche solo per il sospetto che fosse zindiq.

«"La tolleranza è encomiabile" disse una volta il "Sanguinario" Califfo abbaside Abū l-ʿAbbās al-Saffāḥ[4] - avrebbe detto una volta - "salvo nella pericolosa materia della fede religiosa, o in materia di dignità del sovrano. Al-Mahdi (785), perseguitò i liberi pensatori, e ne mandò a morte in gran numero. Fu il primo Califfo a ordinare che si componessero opere di polemica in refutazione dei liberi pensatori e di altri eretici; e per anni tentò di sterminarli totalmente, dando loro la caccia in tutte le province [del Califfato] e facendo giustiziare persone sulla base del mero sospetto."»

La repressione di al-Mahdi proseguì coi suoi successori, al-Hadi e Hārūn al-Rashīd, sebbene vi fosse un'intensità alquanto diminuita durante il califfato di quest'ultimo. A partire dal successore di Rashīd, al-Maʾmūn, la persecuzione religiosa nell'Islam prese una diversa direzione, con l'istituzione della miḥna.[5]

In età moderna si tende occasionalmente ad abusare del termine "zindīq" per indicare membri di religioni, sette o culti che siano stati originati dal grande alveo islamico, ma che abbiano espresso idee diverse dal contesto sunnita o sciita. Per alcuni militanti radicali musulmani, il termine è stato varie volte usato, in modo del tutto improprio, per qualificare in tal modo gli sciiti, specialmente in Libano, Iraq e Siria.

  1. ^ The new encyclopedia of Islam, a cura di Cyril Glassé e Huston Smith, p. 491: «Zindiq, dal persiano zand, "libera interpretazione", nel senso di "eresia" islamica. Un libero pensatore, ateo o eretico.»
    È ovvio che l'ortodossia islamica sia, come in ogni altro contesto, quanto stabilito dalla maggioranza, che tende a relegare ogni minoranza nella sfera dell'"eterodossia" o, meno gentilmente, dell'eresia.
  2. ^ Bernard Lewis, Islam in history: ideas, people, and events in the Middle East (p. 287): «In legal parlance the Zindiq is the criminal dissident—the professing Muslim who holds beliefs or follows practices contrary to the central dogmas of Islam and is therefore to be regarded as an apostate and an infidel. The jurists differ as to the theoretical formulation of the point of exclusion, but in fact usually adopt the practical criterion of open rebellion».
  3. ^ John Bowker, s.v. «Zindiq», The Concise Oxford Dictionary of World Religions. 1997
  4. ^ Il cui laqab, come spesso avviene, viene mal interpretato dai redattori della The new encyclopedia of Islam (p. 491), dal momento che la parola araba "al-saffāḥ" significa, certo, "sanguinario" ma perché questo era il termine usato per il sacrificatore che immolava una vittima per distribuirne poi le carni agli invitati. L'essere insanguinato significava dunque "generoso". Cfr. Claudio Lo Jacono, Storia del mondo islamico (VII-XVI secolo). I. Il Vicino Oriente, Torino, Einaudi, 2003, p. 139, nota 31.
  5. ^ Muhammad Qasim Zaman, Religion and Politics Under the Early ʻAbbāsids: The Emergence of the Proto-Sunnī Elite, E. J. Brill, 1997, p. 64, ISBN 978-90-04-10678-9.

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